L’Italia e il terrorismo in casa: che fare?

22 marzo 2016


  1. Il ruolo delle comunità islamiche

Yahya Pallavicini

L’art. 19 della Costituzione italiana recita testualmente: «Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume».

L’art. 8 stabilisce invece che: «Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge (…) I loro rapporti sono regolati per legge sulla base di Intese con le relative rappresentanze».

Gli articoli della Costituzione sopra citati, si pongono in un’ottica di società multiculturale, in cui i cittadini possano partecipare alla vita e alla cultura italiana, mantenendo la propria fede religiosa e anzi, proprio grazie a essa, possano portare un contributo costruttivo in un tessuto sociale in continuo cambia-mento, che per crescere in maniera completa necessita del concorso attivo di tutte le sue componenti. È dunque necessario che i principi espressi dalla Carta Costituzionale possano essere approfonditi, che la loro interpretazione sia aggiornata al contesto attuale e alle esigenze reali delle comunità religiose presenti in Italia e che soprattutto tali principi vengano attuati.

La nostra Costituzione, col sistema delle Intese, prevede un quadro di riconoscimenti giuridici e di controlli volti a escludere chi non rispetta le regole e a dare sostegno e libertà di culto alle realtà autenticamente religiose. Proprio la trasparenza della legalità e la responsabilità che ne consegue, sarebbe il miglior antidoto contro la propaganda radicale.

La pacifica convivenza si stabilisce attraverso rapporti di fiducia e riconoscimento reciproco. Attualmente in Italia manca qualsiasi tipo di riconoscimento giuridico ufficiale della confessione islamica (1 milione e mezzo di persone tra cittadini e non cittadini).

Questo immobilismo giuridico e il rifiuto di avviare relazioni ufficiali genera un circolo vizioso lasciando pericolosi spazi per l’insinuazione di agitatori politici che strumentalizzano l’Islam. Non essendovi alcuna realtà o confederazione di realtà islamiche riconosciute giuridicamente dallo stato – e dunque verificate nella loro trasparenza – è facile che qualunque individuo possa autoproclamarsi rappresentante della comunità islamica e guadagnare posizioni di visibilità da cui propagandare, eventualmente, anche posizioni fondamentaliste.

Servirebbe piuttosto una forte presenza istituzionale che garantisca libertà religiosa, sicurezza e rispetto delle leggi, che sostenga le realtà rispettose e partecipi dell’ordinamento dello stato e chiuda ogni corsia preferenziale ai predicatori “fai da te”.

6.1 Identità islamica e compatibilità con la Costituzione

Innanzitutto nell’Islam la costituzione intima e religiosa dell’uomo è la fitra, la natura primordiale e spirituale, sempre presente anche se oscurata dalla decadenza dell’umanità.

L’uomo è una creatura composta di diversi elementi che si manifestano in piani e gradi differenti. Fondamentale è la Presenza dello Spirito, che si manifesta nella sua pienezza grazie alla centralità del Cuore che è il vero organo della conoscenza, della lettura dei segni divini e dell’ispirazione. A questa costituzione sacrale, che fa dell’uomo un luogo privilegiato della Presenza divina, si lega la funzione di vicariato, la responsabilità della gestione sacrale della creazione nei suoi vari aspetti, ossia la gestione del mondo, della terra e della natura.

In secondo luogo la costituzione per il musulmano è anche ad-dustur, ossia il regolamento costituzionale e giuridico di riferimento, cioè il Corano e la Sunna, ossia la Rivelazione e la tradizione profetica.

Oltre a ciò, l’individuo come cittadino italiano, sia esso credente o non credente, è partecipe di differenti dimensioni, come in un sistema culturale più o meno secolarizzato, una realtà sociale liberale, un sistema politico democratico, un ordinamento giuridico laico. Le leggi e la Costituzione dello stato italiano regolano proprio questi diversi livelli cui l’uomo partecipa in quanto cittadino.

La natura della regola religiosa, della shari’a, riguarda una dimensione e un piano diverso da quello della regola giuridica, politica, sociale, o culturale laica. Parliamo di “leggi” che hanno natura diversa e che non possono entrare in conflitto poiché appartengono ad ambiti differenti, come sono differenti per la natura e la finalità degli orizzonti ai quali fanno riferimento: la finalità della norma religiosa è la partecipazione alla Grazia divina, mentre la finalità della legge dello stato è la convivenza nella società.

Infatti, gli obiettivi della shari’a possono essere sintetizzati in cinque punti: salvaguardare la sacralità della vita e preservare l’identità della religione, della ragione, della proprietà e della famiglia. Anche molti giuristi e politici moderni privi di formazione religiosa sarebbero d’accordo su questi obiettivi e probabilmente saprebbero difendere questi diritti pur ignorando che fanno parte dei fondamenti anche della legge religiosa islamica.

Non si tratta dunque di un compromesso tra dimensioni che non sarebbero compatibili nemmeno in principio: al contrario, secondo la stessa legge religiosa, è un dovere del musulmano obbedire come cittadino alle leggi dello stato in cui vive. Il musulmano che non le rispettasse sarebbe così inadempiente sia rispetto all’ordinamento giuridico statale sia rispetto alla legge religiosa, a conferma della reale possibilità d’integrazione tra la costituzione religiosa del musulmano e il suo armonioso inserimento nel contesto dell’ordinamento giuridico dello stato, in quanto cittadino.

6.2 La Consulta dell’Islam italiano presso il Ministero dell’Interno

Diversi sono stati finora i tentativi di conseguire anche giuridica-mente un accordo tra i musulmani italiani e le Istituzioni italiane, secondo quel modello d’intesa previsto dalla Costituzione per le confessioni religiose diverse da quella cristiana cattolica.

Proprio l’attuazione della Costituzione, oltre a rendere effettivo il diritto di libertà religiosa dei credenti musulmani, sancirebbe una distinzione tra realtà religiose autentiche e realtà che propagandano posizioni radicali, che trovano invece terreno fertile nelle situazioni giuridicamente non ben definite.

Nel 2005 il ministro dell’Interno Giuseppe Pisanu costituiva la Consulta per l’Islam italiano, con lo scopo di promuovere un dialogo proficuo tra lo stato e la comunità islamica nazionale. Io stesso venni chiamato a farne parte in quanto vice presidente della CO.RE.IS. (Comunità Religiosa Islamica) Italiana. La Consulta nasceva per favorire la partecipazione armoniosa dei musulmani alla vita sociale e culturale della nostra società, nel rispetto della Costituzione e delle leggi dello stato. Vennero chiamati a fare parte di quest’organo consultivo, presieduto dal ministro dell’Interno, rappresentanti islamici di varie comunità, intellettuali e personalità della società civile, per fornire un supporto conoscitivo al ministro sulle questioni attinenti la comunità islamica in Italia, tramite approfondimenti, studi e ricerche.

La creazione della Consulta per l’Islam italiano segnava una svolta nei rapporti tra le Istituzioni del nostro paese e i musulmani d’Italia, manifestando la disponibilità delle più alte cariche politiche a sostenere un confronto costruttivo con le comunità islamiche, considerate non più come corpi estranei e potenzialmente pericolosi ma come elementi attivi della società italiana, capaci di concorrere alla crescita spirituale, politica, economica, culturale e civile del nostro paese. Finalmente sembrava aprirsi la possibilità che anche l’Islam, accanto ad altre religioni presenti in Italia, potesse essere riconosciuto come soggetto giuridico dal nostro ordinamento: il riconoscimento giuridico e l’Intesa, infatti, non costituiscono soltanto strumenti indispensabili per regolare il culto dei fedeli musulmani in Italia, ma anche il segno chiaro che le Istituzioni guardano all’Islam come a una religione, lo distinguono dalle strumentalizzazioni ideologiche e danno piena dignità religiosa e civile ai musulmani che pregano, vivono e lavorano nel nostro paese.

Tra i compiti che la Consulta si propose, infatti, c’era anche quello di favorire la partecipazione delle nuove generazioni di musulmani italiani alla vita del paese, in modo che potessero maturare la consapevolezza di un destino comune e di una cittadinanza di nascita o acquisita ma comunque condivisa con tutti gli italiani. Il tema della famiglia e la formazione delle nuove generazioni, d’altro canto, costituiscono un punto cruciale da cui partire per favorire percorsi profondi e definitivi d’integrazione.

Nel 2006 il ministro dell’Interno Giuliano Amato ha ridefinito i compiti della Consulta per l’Islam italiano costituita dal suo predecessore al Viminale, inserendo tra le sue competenze anche una particolare attenzione verso la definizione di una cittadinanza condivisa e matura che potesse arginare qualsiasi rischio di ghettizzazione o deviazione radicale. In questo senso va considera-ta la presentazione con decreto della Carta dei Valori della Cittadinanza e dell’Integrazione promossa dallo stesso ministro. La CO.RE.IS. Italiana contribuì alla stesura del testo prima del decreto e ne promosse la conoscenza presso le comunità islamiche anche dopo.

Rispondendo a quest’iniziativa del ministro dell’Interno, coadiuvato da un prestigioso Comitato scientifico costituito da esperti selezionati nell’ambito dell’Università e presieduto dal prof. Carlo Cardia, i cittadini di religione islamica in Italia assicurano la propria adesione ai principi generali esposti nella Carta dei Valori. Tali principi, nel nostro paese, costituiscono un patrimonio etico e culturale condiviso, nel quale ogni autentico religioso può riconoscersi. D’altra parte, la Carta dei Valori si configura anche come ponte tra credenti e non credenti, prospettando una possibili-tà d’intesa sul comune terreno della dignità umana e dell’interesse nazionale.

Gli italiani musulmani aderiscono ai valori costituzionalmente sanciti dei quali si fanno essi stessi promotori e garanti. La Costituzione, dalla quale ogni cittadino trae la sua libertà di esprimersi in conformità al proprio credo, comporta dei diritti ma anche dei doveri ai quali i musulmani italiani si attengono scrupolosamente. La propria fede non si oppone in nessun modo alle leggi dello stato, perché la salvaguardia dell’ordine rappresenta un valore primario e fondamentale per ogni musulmano.

Ancora, il rispetto del pluralismo religioso, la tutela delle minoranze religiose minacciate da islamofobia e antisemitismo, il valore assoluto del principio di pari dignità sociale e di uguaglianza di tutti i cittadini, senza distinzione di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali, sancito dall’art. 3 della Costituzione italiana, trovano un significativo riferimento nel testo della Carta dei Valori.

Essa rappresenta il frutto forse più interessante e comunque senz’altro il più visibile della Consulta per l’Islam italiano che tuttavia, proprio in questo processo, mostra qualche difficoltà a trovare un orientamento unitario. Le posizioni militanti e minoritarie di alcuni esponenti della Consulta, tuttavia, sembrano legittimare i pregiudizi delle istituzioni e della società civile contro la religione islamica e rendono difficile, se non a volte impossibile, l’azione efficace e credibile della Consulta.

Nel 2008, tra le elezioni politiche di aprile e l’insediamento del nuovo governo guidato da Silvio Berlusconi, i membri della Consulta per l’Islam italiano prendono un’iniziativa di grande significato politico, ricca di conseguenze operative. Il 23 aprile 2008, infatti, viene presentata al Viminale la Federazione dell’Islam italiano. A promuovere questa Federazione “moderata e pluralista” sono sette esponenti della Consulta: il vice presidente della CO.RE.IS. Italiana Yahya Pallavicini, Mario Scialoja della Lega musulmana mondiale, l’On. Soaud Sbai, Gulshan Antivalle, Mohamed Saady, Ejaz Ahmad e Younis Tawfik, ai quali, in un secondo momento, si aggiungerà anche Abdallah Redouane, segretario generale della moschea di Roma. Sostengono l’iniziativa Giuliano Amato, ministro dell’Interno uscente e il Prof. Carlo Cardia, presidente del Comitato scientifico per la Carta dei Valori.

Tra i valori fondanti della Federazione, che intende lavorare per favorire la crescita di un Islam italiano rispettoso dei principi sanciti dalla Costituzione e dalla Carta dei Valori, vi sono il rispetto della laicità dello stato, della parità giuridica tra uomo e donna, della sacralità della vita contro ogni forma di violenza e terrorismo. Viene inoltre sancito il rifiuto dell’estremismo ideologico e della strumentalizzazione politica della religione, l’autonomia dagli interessi politici e dalle ingerenze strategiche degli stati esteri, il riconoscimento della famiglia in Italia nella forma esclusiva dell’unione monogamica tra uomo e donna.

Alla luce delle posizioni radicali emerse da alcune realtà isolate inizialmente inserite nella Consulta, stavolta obiettivo della Federazione è quello di aggregare le comunità islamiche in Italia valorizzandone sì le differenti sensibilità, ma escludendo i movimenti ideologici radicali.

Si tratta di un passo avanti significativo. È un errore, infatti, generalizzare in maniera approssimativa, non si può associare una comunità di credenti soltanto a un gruppo rumoroso e ben organizzato di estremisti, confondendo la religione con la strumentalizzazione ideologica, ma non si può nemmeno condizionare il riconoscimento della confessione islamica da parte dello stato alla pretesa che quest’ultima trovi al suo interno un’unanimità che si spinga fino a includere le istanze più radicali.

Per prevenire il radicalismo è necessario distinguere i rappresentanti autentici della confessione da quelli che non lo sono e, a tal proposito, si deve rinunciare alla pretesa di organizzare o “ordinare” la comunità musulmana in una struttura onnicomprensiva e gerarchico-clericale come la Chiesa, secondo una dinamica della rappresentanza che è estranea all’Islam.

6.3 La rappresentanza islamica presso le istituzioni dello stato

L’identità autentica dei credenti e delle comunità deve essere salvaguardata, al riparo da generalizzazioni grossolane e da tentativi di omogeneizzazione semplicistici e inefficaci. Trovare un accordo e un’unità mantenendo le differenze è possibile se lo sforzo nella partecipazione e nell’elevazione a quest’unità sarà sostenuto e realizzato da tutte le componenti, in un accordo interno alla comunità islamica che, senza forzature, possa essere il preludio di un accordo esterno con le istituzioni italiane.

La rappresentanza dell’Islam italiano dovrebbe sapere, infatti, prescindere da qualsiasi forma di subalternità agli interessi politici di stati esteri o di movimenti radicali transnazionali, agendo nell’interesse esclusivo dei musulmani d’Italia e garantendo la piena cittadinanza di un Islam italiano naturalmente compatibile con l’ordinamento giuridico dello stato e la cultura nazionale.

Si tratterebbe innanzitutto di eliminare da parte dei musulmani la tendenza a creare dei ghetti all’interno della società, come anche qualsiasi pretesa di “rivoluzione sociale” e, piuttosto, conforme-mente allo spirito della tradizione islamica e a quello della Costituzione italiana, di crescere come comunità religiosa che sappia valorizzare le differenze interne positive e integrarsi armoniosamente nel contesto in cui vive.

Le relazioni e la mediazione intrareligiosa

In questo senso da anni la CO.RE.IS. Italiana opera per promuove-re la collaborazione con le diverse realtà islamiche presenti nel nostro paese. Si tratta di un’azione con un carattere interculturale e con molteplici esperienze di mediazione sociale tra le varie espressioni dell’Islam spesso di recente immigrazione e il contesto sociale, economico e istituzionale italiano.

Con le comunità turche e senegalesi in Liguria, i marocchini in Veneto, bosniaci e albanesi in Emilia Romagna e la comunità pakistana in Lombardia, tra le altre, è stato possibile instaurare un rapporto costruttivo e una dinamica di maturazione progressiva e costante nella direzione della prevenzione del radicalismo con una particolare attenzione ai giovani.

Sono infatti soprattutto le seconde e terze generazioni a mostrarsi particolarmente sensibili a un processo che coniughi la sensibilità religiosa islamica con le responsabilità connesse a una nuova cittadinanza occidentale, senza esclusioni sociali, artifici ideologici o assimilazioni sincretiste.

Al tempo stesso i giovani quando non sono accompagnati con saggezza a operare tale sintesi, rischiano di essere i più deboli ed esposti di fronte a fenomeni di strumentalizzazione politica o di chiusura “identitaria” e settaria.

La sicurezza pubblica e l’antiradicalismo

Questa partecipazione attiva e costruttiva è il naturale antidoto contro il crescente rischio del fondamentalismo e i problemi di sicurezza a esso legati.

Il metodo più efficace per prevenire il radicalismo in tutte le sue forme, comprese quelle non religiose come il “radicalismo laico”, è quello di lavorare con una prospettiva a lungo termine sull’educazione e sulla formazione, poiché la corretta conoscenza è l’esatto opposto dell’ignoranza, vera matrice di ogni esclusivismo e deriva ideologica.

In tale direzione, il 19 settembre del 2008, fummo invitati a un’audizione parlamentare per fornire un contributo in merito al Decreto Legge sulla Sicurezza Pubblica presentato dal presidente del Consiglio dei ministri, Silvio Berlusconi, dal ministro dell’Interno, Roberto Maroni, e dal ministro della Giustizia, Angelino Alfano.

La dott.ssa Aisha Valeria Lazzerini, membro della Commissione Affari Giuridici della CO.RE.IS., partecipa all’audizione presentando un documento in cui si esprime sostegno a quest’iniziativa legislativa, sottolineando il significativo apprezzamento anche per la proposta di stabilire ulteriori misure volte a impedire che l’istituto sacro del matrimonio potesse in talune circostanze essere ridotto a una mera finzione burocratica finalizzata esclusivamente all’ottenimento della cittadinanza italiana in tempi brevi. Il direttore generale della CO.RE.IS. Italiana, dott. ‘Abd al-Sabur Turrini, contribuisce al dibattito sul decreto presentando un progetto di formazione sull’antiradicalismo, volto a favorire percorsi educativi sulla concezione della famiglia e del diritto, efficaci nel contrastare le basi ideologiche del terrorismo.

Lo sforzo di distinguere nettamente a livello teorico e pratico tra religione e ideologia permette, infatti, di contrastare le infiltrazioni delle correnti radicali di qualunque genere nella società italiana. Analogamente, gli approfondimenti sulla giustizia permettono di chiarire il rapporto, spesso malintenso, tra Legge Sacra e ordinamenti giuridici nazionali, tra religione e laicità dello stato, tra letteralismo formalista e autentica saggezza tradizionale. La famiglia, a sua volta, è il primo luogo in cui si esercita l’educazione delle nuove generazioni, che costituiscono il futuro del nostro paese.

Inoltre, la partecipazione attiva a programmi di formazione nella prevenzione del radicalismo in collaborazione con l’Osce (Organization for Security and Cooperation in Europe), e in particolare con l’Odihr (Office for Democratic Institutions and Human Rights), per quanto riguarda il monitoraggio e la prevenzione delle violazioni della dignità dei musulmani che vivono in Europa, ci ha consentito di contribuire:

  • a Varsavia, nel novembre 2013, al seminario Training of Trainers for Imams and Community Leaders on Hate Crimes against Muslims, con l’intento di formare 20 referenti di comunità islamiche da tutta Europa, che a loro volta sono ora in grado di formare altri responsabili nei rispettivi paesi su come prevenire e gestire in maniera intelligente ed efficace situazioni di odio e di crimini nei confronti della sicurezza dei musulmani;

  • a Vienna, nell’aprile 2014, all’incontro internazionale Enhancing Community-Law Enforcement Relations in Combating Hate Crimes against Muslims, dove i responsabili delle organizzazioni e delle comunità islamiche hanno lavorato insieme con le istituzioni internazionali e nazionali, con le forze dell’ordine, con il mondo accademico e con le organizzazioni non governative, avendo come obiettivo una più ampia sinergia per la protezione dei musulmani in Occidente, così come di tutte le minoranze, e per il loro contributo costruttivo nella società.

Da una parte, un primo elemento è la formazione di responsabili delle comunità islamiche su come prevenire manifestazioni d’intolleranza, provengano queste dall’interno o dall’esterno delle stesse comunità religiose, con gli strumenti di una preparazione giuridica, di adeguate strategie di comunicazione, e soprattutto della capacità di discriminare e identificare in maniera adeguata le cause reali dei pregiudizi e i loro rimedi. D’altro canto, è altrettanto necessario incoraggiare il dialogo tra le differenti culture e religioni in un clima di responsabilità e collaborazione, radicati nella confidenza, nella comunicazione, nella cooperazione, nell’interscambio culturale e commerciale.

Il radicalismo e il fondamentalismo costituiscono un pericolo tanto per i cittadini quanto per le comunità religiose. Le autorità religiose e le istituzioni dovrebbero cercare di creare un fronte comune per superare queste deviazioni e manipolazioni, proteggendo al tempo stesso la libertà di religione, il diritto di culto e il contributo intellettuale dei veri credenti nello spazio pubblico.

Il nemico comune è l’ignoranza, e la conseguenza è la violazione della dignità dell’essere umano, creato “secondo la Sua forma”, “la forma del Misericordioso”, per dirlo con le parole divine rivelate al Profeta Muhammad. Cruciale in tal senso è la fratellanza e la collaborazione tra le autorità religiose e i credenti delle tre rivelazioni del monoteismo abramico – Ebraismo, Cristianesimo e Islam – nel riconoscimento della fede comune nell’Unico Dio e nella valorizzazione delle loro provvidenziali caratteristiche.

Un secondo piano su cui agire a livello educativo riguarda la formazione religiosa propriamente detta, e in particolare quella delle guide religiose e dei ministri di culto. Insieme all’Isesco (Islamic Educational, Scientific and Cultural Organization), stiamo lavorando sulla formazione degli imam in Italia. Per fare un esempio, è stato organizzato nel marzo 2013 un Seminario di formazione per referenti religiosi musulmani (Training seminar for Muslim religious leaders), con una specifica attenzione alla Regione Sicilia nel sud del paese. Rivolto a imam, mediatori culturali e responsabili di comunità e associazioni islamiche, il seminario ha visto 30 partecipanti provenienti da 6 province della Sicilia.

Oltre la necessaria base concernente i doveri rituali degli imam, le linee guida per la mediazione culturale con la società e gli strumenti per riconoscere e prevenire la manifestazione di tendenze fondamentaliste all’interno della comunità, il seminario si è concentrato sull’importanza di saper unire la concentrazione verso il Sacro con la consapevolezza del contesto socio-culturale laico.

I pareri sugli imam e sulle moschee del Comitato per l’Islam italiano

Il 10 febbraio 2010 il nuovo ministro dell’Interno, Roberto Maroni, convoca il nuovo organismo consultivo per l’Islam italiano costituito presso il Viminale. Rispetto alle precedenti esperienze della Consulta, sono integrati nella composizione del gruppo di lavoro, al fianco di alcuni rappresentanti dei musulmani in Italia, anche docenti universitari, giuristi, sociologi e giornalisti di fiducia del ministro e con una competenza sul tema.

Di particolare rilievo sono i due pareri elaborati sulla “forma-zione degli imam” e sui “luoghi di culto” volti a presentare una prospettiva capace di tutelare l’identità e i diritti connessi alla specificità religiosa islamica integrandoli in un quadro di garanzia rispetto alle regole dell’ordinamento giuridico dello stato. In entrambi i pareri l’esempio della CO.RE.IS. e della moschea di Roma viene indicato come best practice che possa essere d’ispirazione tanto per il legislatore chiamato a regolamentare la materia quanto per i fedeli musulmani disponibili a organizzarsi in un orizzonte di trasparenza e integrazione.

L’edificazione di moschee gestite da guide religiose qualificate per conoscenza della religione islamica e della cultura italiana costituisce una via obbligata per sottrarre il culto dei musulmani al contesto degradato di scantinati poco dignitosi, poco trasparenti e poco regolabili. Il diritto costituzionale di praticare il culto dovrebbe essere garantito anche ai musulmani, che non possono essere identificati con una minoranza di fanatici che con l’Islam non hanno nulla a che vedere. Occorrono dunque moschee proporzionate alle esigenze dei quartieri, trasparenti per gestione religiosa, giuridica e finanziaria, degne della destinazione a centri per l’adorazione di Dio, costruite nel rispetto delle regole e aperte al dialogo con la cittadinanza, che avrebbe meno timori se fosse garantito un controllo più rigoroso del territorio e promossa nelle sedi appropriate un’informazione più onesta e intelligente sull’Islam.

Si tratta dunque di dare anche all’Islam e ai musulmani che vivono nel nostro paese, tra i quali numerosi italiani di religione islamica – che al momento sono privi di diritti da un punto di vista religioso – piena e degna cittadinanza in Italia.

Il Dialogo interreligioso tra cristiani e musulmani

Il confronto tra cristiani e musulmani è un confronto sulla declinazione di una prospettiva sacrale nella vita e di una sensibilità spirituale e fraterna per il Bene Comune, mentre il confronto delle differenti comunità religiose con le Istituzioni della Repubblica Italiana si articola nel rispetto della laicità e dell’ordinamento giuridico dello stato e nella condivisione di un’Intesa costituzionalmente prevista dove vengano riconosciute alcune specificità di organizzazione del culto delle varie rappre-sentanze confessionali. Le due nature, confronto religioso e confronto civile, trovano la loro opportuna interdipendenza a condizione di evitare confusioni di gestione tra l’ambito teologico e quello sociale, o tra l’identità religiosa e la politica secolare.

La necessità di armonizzare questa relazione ed evitare le confusioni attraversa tutta la storia dell’umanità e così anche il confronto tra cristiani e musulmani ha vissuto un lungo e complesso periodo di oltre 14 secoli, mentre quello tra le confessioni religiose e la Repubblica Italiana è maturato e sancito dalla Costituzione dopo un travagliato percorso che, storicamente, ha visto anche emergere momenti di degenerazione che hanno concorso talvolta a drammatiche persecuzioni delle minoranze cristiane e vergognose leggi razziali per gli ebrei.

In Italia, la situazione attuale non presenta casi così estremi, anche se il rapporto dei musulmani con i cristiani e con la laicità dello stato vive un momento prolungato d’importante transizione.

Questa transizione si concluderà con un nuovo ciclo positivo se le politiche di governo e dei vari rappresentanti religiosi sapranno interagire orientando insieme la più saggia interpretazione di laicità, libertà di culto e di rispetto del pluralismo religioso e se, cristiani e musulmani, sapranno liberarsi dalle correnti letteraliste ed esclusiviste che ne minano la fratellanza spirituale. Diversa-mente, assisteremo al tradimento della Costituzione, con fedeli tutelati nei loro diritti rispetto ad altri che vengono ingiustamente discriminati, o al travisamento dell’autentica e ortodossa esperien-za religiosa, confusa con l’esclusivismo dei fondamentalisti che fomentano disordine e impongono il loro formalismo privo di valore simbolico. Dopo secoli di conflitti di potere tra chiese o tra ideologie e rappresentanze confessionali decadute, abbiamo assistito a un decennio di abuso della religione per finalità che esulano dalla sua vera natura, strumentalizzazioni radicali dove profeti, santi, sapienti, fedeli e testi delle varie comunità religiose si sono trovati ostaggio di predicatori fanatici che hanno manipola-to il senso più profondo e vero della Giustizia e della Misericordia di Dio.

Questo ci sembra un punto importante per affrontare il tema di onorare il dialogo islamo-cristiano e collaborare attivamente con le autorità e i fedeli cristiani: salvaguardare l’autenticità e l’ortodossia della dottrina, dei simboli e dei riti delle nostre rispettive tradizioni religiose e mantenerne la vitalità e la libertà, difendendo i bisogni spirituali e morali dei credenti dagli artifici del bigottismo, del sincretismo o del relativismo. Parallelamente, le sfide sociali, culturali e politiche dell’epoca contemporanea provocate dalle accelerazioni della globalizzazione, della modernità e della democrazia richiedono una migliore capacità di adattamento della prospettiva religiosa in tutti i campi dell’esistenza dei cittadini e la collaborazione tra cristiani e musulmani in questi settori dinamici della vita pubblica può dare un valore aggiunto soprattutto nell’ambito dell’unità familiare, dell’educazione e dell’etica allo sviluppo sostenibile e alla pace internazionale.

L’importante è che non si voglia scollegare o appiattire la responsabilità dei religiosi cristiani e musulmani soltanto alla dimensione sociale o esteriore, dimenticando la relazione tra la trascendenza e l’immanenza di Dio e negando il mistero spirituale del tempo, del mondo e della fede che ispira la ragione e l’intelligenza umana, ma non può diventare razionalismo pragmatico né filosofia astratta.

Pluralismi a confronto

Un altro aspetto importante da condividere tra cristiani e musul-mani in Italia è lo sviluppo di varie forme di pluralismo interno che non possono essere necessariamente simmetriche: cattolici, ortodossi e protestanti, sciiti e sunniti, malikiti, hanafiti, shafiiti, hanbaliti, gli ordini monastici e gli ordini contemplativi, i teologi e i sapienti, le università d’ispirazione religiosa e i centri spirituali, le associazioni di volontariato sociale, educativo, sanitario, culturale, giovanile, sportivo, i movimenti di militanza politica, le differenti sensibilità, interpretazioni e coerenze nell’osservanza dei credenti praticanti. Tutta questa varietà interna al cristianesimo e all’Islam presenta differenze non simmetriche che impongono una qualità di comunicazione e gestione della ricchezza dell’universo delle nostre rispettive comunità che non può essere oggetto di un superficiale pregiudizio nel quale si generalizza tutto.

Proprio grazie a questo confronto esterno e interno, nazionale e internazionale, abbiamo potuto rappresentare un’azione di dialogo aperto, in tutti i campi, alle diverse culture, cittadinanze, fedi ma, nello stesso tempo, rappresentare un’identità specifica dell’Islam italiano che si distingue da altre correnti presenti in Italia per il suo metodo di lavoro e il suo carattere di autonomia da ogni interpretazione straniera, estranea o conflittuale alla sintesi armoniosa tra universalità religiosa e tradizione occidentale, all’incontro tra l’insegnamento dei maestri di spiritualità e le nobili intenzioni dei padri fondatori della Repubblica Italiana e dell’Unione Europea, alla sintonia tra i teologi e gli intellettuali musulmani e i giuristi e i filosofi occidentali.

Noi siamo convinti che questa sintesi, incontro e sintonia possano realizzarsi a condizione di:

  1. prevenire la nostra comunità dalle istanze incompatibili di una parte dell’Islam d’importazione che vuole pretestuosamente rimanere alieno al nostro tessuto socio-culturale e che rischia di costruire ghetti;

  1. preservare la fede dei musulmani dal radicalismo e dalla propaganda dei partiti di militanti che interpretano, con una strategia politica o ideologica, la nostra religione in modo estraneo all’Islam ortodosso ed ecumenico;

  1. difendere l’indipendenza dell’Islam italiano da ingerenze d’individui, affiliati all’ambasciata di un determinato paese estero o, al contrario, in opposizione al governo del proprio paese d’origine;

  1. evitare la confusione tra coloro che perseguono interessi commerciali, aspetti politici legati a particolari fenomeni (es. migrazione, sicurezza, ecc.).

Conclusioni

La Costituzione italiana prevede per ogni confessione religiosa, senza eccezioni e discriminazioni, il diritto di esercitare e organizzare il proprio culto in privato e in pubblico. Molte confessioni religiose (cristiani cattolici, protestanti e ortodossi, ebrei, buddisti e indù) hanno già ottenuto o sono in procinto di ottenere il riconoscimento e la specifica regolamentazione approvata per la piena dignità nella pratica della loro fede. Purtroppo, la confessione islamica in Italia non gode ancora di questo riconoscimento. Per raggiungere quest’obiettivo abbiamo lavorato, da un lato, per una migliore preparazione delle istituzioni e, dall’altro, per realizzare una maggiore maturità della stessa comunità di musulmani in Italia, arginando così l’interferenza e la cattiva volontà di alcuni agitatori popolari che, in nome dell’Islam, pretendono d’imporre a tutti un’interpretazione esclusivista e formalista e, parallelamente, di alcuni politici italiani che pretendono imporre ai musulmani una secolarizzazione razionali-sta o, in alternativa, un’alienazione sociale motivata dal pretesto di un’estraneità dell’Islam dalla sacralità nazionale.

Come esponente della seconda generazione d’italiani musulmani posso testimoniare quanto il modello universale e atemporale dei profeti Abramo, Mosè, Gesù e Muhammad, insieme all’esempio e all’opera di intellettuali e veri maestri come Maimonide, San Francesco e San Bernardo, Averroè e Avicenna, Al-Farabi e Al-Ghazali, Ibn Arabi e Jalaluddin Rumi continuano a ispirare la nostra responsabilità e la vita di migliaia di credenti musulmani in Italia.

Un tale riconoscimento permetterà anche ai musulmani in Italia e in Europa di dare un orientamento spirituale e fraterno alle proficue relazioni tra tutti i popoli e le culture di ogni fede e origine territoriale.

C’è, infatti, un Islam europeo che rappresenta un modello di sintesi armoniosa tra identità confessionale, ecumenismo e cittadinanza attiva e che si distingue da un altro movimento politico che cavalca la democrazia per rivendicare la propria legittimazione di potere utilizzando il formalismo islamista senza spirito, profondità e serietà dottrinale. Il primo modello può seriamente ispirare una ricaduta di saggezza e di coesione persino per le nuove generazioni europee e orientali, mentre il secondo modello rischia di diventare il terreno fecondo per l’ambiguità di chi vuole importare l’utopia di una nuova civiltà che i partiti islamici hanno cercato di rappresentare con risultati drammatici nel mondo arabo dopo la primavera del 2011.

Nel primo caso assistiamo a una maturazione della partecipazione dei musulmani accanto ai cristiani e agli ebrei nella declinazione virtuosa di fede, ragione e cittadinanza con contributi importanti di maestri, teologi, ordini religiosi, associazioni all’interno della sana dinamica intellettuale e sociale. Nell’altra ipotesi ci troveremo in una condizione d’imbarazzo, d’incomprensione, di suscettibilità per l’artificio di questo dogmatismo radicale che pretende fare la morale a tutti.

Occorre comprendere che la vera essenza degli obiettivi della shari’a è quella di sviluppare un’intelligenza illuminata dalla Rivelazione e una relazione con tutte le persone, e in tutti gli ambiti della società, nella quale prevalga la sensibilità e la responsabilità di gestire e costruire non solo moschee, con o senza minareti, ma soprattutto una nuova generazione di cittadini e di credenti che siano un modello di eccellenza e di fedeltà al patrimonio che ogni Profeta ha affidato alla propria comunità di credenti nello Stesso Dio.

Una corrente spirituale di musulmani europei sembra saper preparare questo percorso e questa sintesi armoniosa tra civiltà occidentale e spiritualità islamica.