Quale via senza compagni?

MILANO, 14 dicembre 2014


di Yahya Pallavicini

Ricordo ancora il mio primo incontro in Vaticano con papa Francesco: ero in compagnia dell’amico AbdAllah Ridwan e di altri delegati musulmani, cristiani orientali ed ebrei nella sua prima udienza ufficiale poco dopo la sua nomina a pontefice della Chiesa cattolica. Si rivolse a noi musulmani chiamandoci amici.

Da quel giorno il dialogo tra cristiani e mu- sulmani è cambiato nella direzione di questa amicizia. Ma cos’è questa amicizia? Cos’è il dialogo tra cristiani e musulmani? Cos’è l’amicizia e il dialogo in tempi dove, da un lato, assistiamo a molte dittature e violenze e, dall’altro lato, assistiamo alla moda del dialogo e dell’amicizia, parole che vengono così inflazionate da aver quasi perso il loro senso profondo. Cos’è l’amicizia e il dialogo con un cristiano, per un musulmano?

Tra le fonti e le radici dell’amicizia, possiamo almeno richiamare due termini dottrinali: KhalilAllah e Al-Siddiq. KhalilAllah significa l’amico intimo di Dio ed è l’attributo che la tradizione islamica conferisce al profeta Abramo. Dunque proprio Abramo, patriarca del monoteismo e profeta di riferimento comune per ebrei, cristiani e musulmani, ci ispira un’amicizia particolare: l’amicizia straordinaria che Dio gli confida. A questo livello eccezionale di amicizia sembra che noi musulmani dobbiamo ispirarci per elevare la nostra fratellanza con i cristiani alla comunicazione e alla sintonia spirituale con Dio. Non si tratta dunque di un’amicizia profana, di una relazione convenzionale, di un dialogo superficiale, ma di una ricerca di intimità sacra, di una convergenza verso il modello profetico di Abramo che era amico di Dio oltre ad essere suo profeta e servo.

Il principio comune del Dio unico e misericordioso

Nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium, apparsa lo scorso novembre, papa Francesco ha sottolineato l’importanza del dialogo religioso con l’islam e con l’ebraismo ricordando, come principio comune al monoteismo abramico, la fede nel Dio unico e misericordioso e il Giudizio finale. Se dunque papa Francesco, nella sua funzione pastorale e al di là di ogni dialettica teologica, individua giustamente nel principio comune del Dio unico e misericordioso la possibilità e la corretta prospettiva del dialogo, è perché si tratta del solo principio realmente comune e universale.

Parallelamente, il secondo termine, Al-Siddiq, significa «il veridico» ed è l’attributo che la tradizione islamica conferisce al primo amico, compagno e discepolo del profeta Mohammed, il ben guidato Abu Bakr al-siddiq, il veridico, il compagno sincero e onesto. Gli amici arabi, sia cristiani che musulmani, sanno che il termine al-siddiq viene dalla stessa radice della parola al-sadiq che significa letteralmente «amico» e presuppone che l’autentica amicizia sia basata sulla reciproca onestà, fedeltà e rispetto, sull’unità nella sincerità. Essere amico sincero del profeta im- plica infatti un grado di onestà e trasparenza che non può essere ridotto ad una simpatia passeggera, ma corrisponde ad una sta- zione di fratellanza e condivisione di una sensibilità spirituale di grande livello e profondità. Ciò che unisce due amici nel dialogo sincero (al-sidq) deve essere la forza della reciproca e rispettiva attrazione per la Verità.

Dunque il dialogo tra un cristiano e un musulmano non è un monologo e non è una chiacchierata. Il modo di dialogare tra un amico cristiano e un amico musulmano non può prevedere rivalsa, rancore, rivendicazione, rappresaglia, ma rispetto, disponibilità all’ascolto, sete di conoscenza del mistero di Dio. La finalità del dialogo deve essere la scoperta di un nuovo amore per l’amicizia di Dio e per la fraterna ricerca della Verità, questi nobili scopi potranno essere raggiunti tramite la rispettiva coerenza nella fede e nelle quotidiane responsabilità per il Bene comune.

Quando questo genere di dialogo si instaura, le ricadute sul piano cosmologico, storico e sociale diventano di grande impatto, perché il cristiano e il musulmano condividono una partecipazione alla civiltà degli eredi dei profeti e trovano insieme la declinazione più saggia per vivere la proprietà del tempo e dello spazio con ogni uomo e donna in tutte le regioni della Terra. I pericoli e gli errori delle nostalgie anacronistiche o degli ideali utopistici sul futuro scompaiono tanto quanto le chiusure in ghetti mentali di un mondo parallelo, artificiale e irrazionale.

Al contrario, quando questo dialogo tra un cristiano e un musulmano si realizza, l’umanità trova un modello di coesione e di partecipazione che è il riflesso della rappresentazione della dinamica spirituale di Dio che, secondo il sacro Corano, «rinnova la creazione in ogni istante».

Una comunità giovane e complessa

Questo modello di dialogo, amicizia, rispet- to e collaborazione, può favorire la maturazione anche interna della comunità islamica italiana, una comunità giovane e complessa, ma unita nel suo pluralismo fatto di immigrati e autoctoni, convertiti e seconde generazioni, diplomatici e teologi, fedeli e autodidatti. Riscoprire la nostra autentica fratellanza islamica senza venire contaminati dalle correnti estranee del radicalismo panarabo o islamista potrà essere più solido se fatto con l’aiuto dei fratelli e delle sorelle cristiane. Da questo legame si costruisce il lavoro concreto per una società italiana coesa nella salvaguardia di antichi valori, nuovi scambi interculturali e un presente di pace.

Per noi rappresentanti religiosi, la coesione sociale è sinonimo di manifestazione di una universalità del genere umano che rispetta l’unità e le diversità delle specifiche e provvidenziali caratteristiche spirituali, giuridiche e culturali. Una coesione nell’empatia e nella collaborazione, una coesione nella pratica delle virtù e nella ricerca del segreto e della Verità nella vita, in questo mondo e prima dell’Altro. Una coesione grazie alla quale ogni uomo e donna scopre, con l’aiuto fraterno del prossimo, la comune radice spirituale con il Creatore dei cieli e della terra e, nello stesso tempo, condivide in modi differenti una funzione di gestione e ritrasmissione della scienza sacra.

Un maestro musulmano che ha ispirato uno dei più antichi ordini contemplativi islamici, lo shaykh Abd al-Qadir al Jilani, ha scritto: «Quale via sarebbe perfetta senza compagni? E come trovare la giusta direzione per tutti se non ci viene donata? E un retto cammino diverso da quello che noi seguiamo? E l’attenzione all’istante senza slancio spirituale? Fìdati, la sincerità è del più alto rango per chi desidera giungere fino in fondo. Ricorda dunque le mie parole».

Da questo profondo insegnamento possia- mo forse concludere con un auspicio anche per la nostra comunità islamica in Italia che ha appena festeggiato il nuovo anno 1436 dall’Egira (secondo il calendario islamico). «Quale via sarebbe perfetta senza compagni?», chiede il maestro; e invita i suoi interlocutori ad estinguere l’individualismo, l’isolamento, la solitudine, a scoprire il beneficio della compagnia spirituale, della fratellanza, dell’ospitalità tradizionale come mezzi per avanzare nella via della perfezione. Sono tutti sinonimi di coesione e dialogo all’interno e all’esterno della propria comunità d’appartenenza, ma affinché diventino vera- mente utili, il maestro ci insegna a qualificare queste azioni e questi strumenti con la sincerità, qualità spirituale che permette ad ogni credente di ritrovare la sua coesione interiore e il conforto prezioso del dialogo tra i compagni: solo così si realizza un’armonia socia- le e un’affinità intima con i segni e i simboli della Rivelazione di Dio.

Yahya Pallavicini