In ricordo di Amos Luzzatto (1928-2020)

Pubblicato il 11 settembre 2020

In ricordo di Amos Luzzatto (1928-2020)

Rivolgiamo una preghiera all’anima di Amos Luzzatto, scomparso all’età di 92 anni

Rivolgiamo una preghiera all’anima di Amos Luzzatto, scomparso all’età di 92 anni. Presidente emerito dell’UCEI, discendente di una famiglia di rabbini, prolifico e fine intellettuale, ha saputo declinare il dialogo interreligioso autentico, inteso anche come conoscenza e sostegno reciproco delle religioni, al di là degli stereotipi e degli schematismi.

Il Presidente della COREIS Italiana, l’imam Yahya Pallavicini insieme a sua moglie IlhamAllah Chiara Ferrero, hanno reso omaggio alla sua figura partecipando ai funerali svoltisi ieri 10 settembre a Venezia ai quali hanno preso parte, tra gli altri, la presidente dell’UCEI Noemi Di Segni e Rav Roberto Della Rocca.

Nel trasmettere i più cari auguri per l’imminente Shabbat alla comunità ebraica, ci auguriamo che questo messaggio giunga a sostegno e conforto dei famigliari di Amos Luzzatto come “consolazione” che, secondo la tradizione ebraica – come ricordato dalla Presidente Di Segni – prevede una particolare vicinanza e visita ai parenti del defunto nei prossimi sette giorni, escluso Shabbat.

Con l’occasione ci fa piacere pubblicare uno dei numerosi lavori di Luzzatto di richiamo alla Conoscenza e alla Pace, la prefazione al libro L’Islam in Europa. Riflessioni di un Imam Italiano (ed. Il Saggiatore) dell’imam Yahya Pallavicini:

Nella saggistica contemporanea si impiegano molto spesso classificazioni che fanno un uso indiscriminato di categorie profondamente diverse, che non permettono confronti o, peggio, che sono la base di confronti che disorientano chi legge.
Alcuni esempi per capire meglio.
La geografia conosce le categorie di Oriente, Occidente e di Nord e Sud. Queste non sono categorie storiche o culturali, ma spesso si usano come tali. Parlare da Roma del Senegal come Paese del "Sud" del mondo è abituale. Ma perché non anche di "Occidente", se visto dalla capitale italiana?
Le religioni distinguono il Cristianesimo, l'Ebraismo, l'Islâm. Nel sentire diffuso europeo si tende ad associare al primo la predicazione dell'amore, al secondo la spietata giustizia vendicativa, al terzo la violenza del fondamentalismo. Si deve poi ricorrere a giustificazioni difficili quando ci si incontra con i roghi dell'Inquisizione e con la predicazione dell'amore da parte dei mistici chassidici (per l'Ebraismo) e sufi (per l'Islâm).
L'economia dal canto suo distingue i Paesi "sviluppati" da quelli arretrati, detti eufemisticamente "in via di sviluppo". I primi dunque si ritengono (a torto o a ragione) al vertice di un processo evolutivo (universale) nel quale i primi farebbero da battistrada verso il traguardo della felicità ai secondi che, per qualche recondito motivo (pigrizia? difetti "razzistici"?) segnerebbero un ritardo di marcia. Se è vero, come parrebbe, che il divario fra i primi e i secondi Paesi va crescendo, è probabile che questo modello ideale andrebbe rivisto criticamente.
È singolare l'uso disinvolto che viene fatto di queste tre categorie, scambiandole, usandole a sproposito, sovrapponendole. Si parla di religioni dell'Occidente e dell'Oriente, di economia del Nord e del Sud del mondo, di Paesi del "terzo" mondo, sottacendo le differenze, che pure dovrebbero esserci, fra quelli del "primo" e quelli del "secondo" mondo. Spesso parrebbe che fossimo colti dall'esplosione di un singolare pudore, per il quale si preferiscono denominazioni metaforiche che finiscono con l'occultare una realtà che si teme possa generare una conflittualità senza precedenti.
Che cosa spinge ai nostri giorni milioni di musulmani a migrare verso Paesi a maggioranza storica cristiana (storica, non predestinata, non razzisticamente necessaria) per insediarvisi stabilmente, mentre si presenta e si espande il fenomeno di conversioni all'Islâm da parte di cittadini di questi stessi Paesi? E, per questo nostro Paese, questo fenomeno migratorio si assomiglia, del tutto o in parte a quello che, in un recente passato, spingeva masse di italiani a varcare l'Oceano o a insediarsi in Belgio, in Svizzera, in Germania?
E' per lo meno probabile che alla radice di tutto questo malessere vi siano le differenze di sviluppo fra i diversi Paesi, lo spostamento di risorse, l'accentramento di fatto dei poteri decisionali nelle mani di poche metropoli, forse di una sola. Se le cose stanno così, sarebbe forse meglio insistere, non tanto sull’ipotetica contrapposizione fra un modello sociale musulmano che si contrapporrebbe irrimediabilmente a quello "cristiano-occidentale", quanto piuttosto sui differenti modelli sociali ed economici storicamente affermatisi. Così dicendo, parliamo implicitamente di modelli che nascono, crescono e si estinguono; non certo di modelli dotati di un valore eterno e definitivo. A maggior ragione se riflettiamo sul fatto che, se è vero che questi modelli possono rivendicare indiscutibili meriti nelle grandi trasformazioni materiali ed energetiche del XX secolo, essi portano anche la responsabilità per aver causato danni all'ambiente che saranno pagati e in parte lo sono già dall'umanità intera.
Questo quadro genera due ordini di problemi: l'uno, politico, il secondo, culturale. Non è questa la sede per trattare del primo, quanto di sollecitare l'attenzione nei confronti del secondo.
Non possono esservi dubbi sul fatto che le "religioni" sono una componente essenziale della cultura delle nostre società. Sfortunatamente, per lunghi secoli le frontiere fra religioni diverse sono state molto poco permeabili, in parte perché si sono spesso identificate con le frontiere statuali. Soprattutto in Europa, gli stessi scismi religiosi hanno creato nuove frontiere e, con esse, anche nuove guerre.
La prima conseguenza di questa situazione è stata la reciproca estraneazione. E' vero che vi è stata spesso fra i dotti e fra quelli che potremmo genericamente chiamare i Maestri di fede il convincimento che una origine e una base comune poteva unificare almeno le religioni monoteistiche. Ma "conoscersi" non può limitarsi a questo. Significa apprendere le rispettive tradizioni, la lingua nella quale sono stati scritti i rispettivi testi sacri, i concetti, le forme del culto. Senza questo processo culturale di avvicinamento, sarà fatale che ciascuno di noi "veda" nell'altro solo una brutta copia di sè stesso. Non molto tempo fa un giornalista mi chiedeva informazioni in merito alla "Chiesa ebraica". In perfetta buona fede, egli tracciava una equivalenza totale fra la Chiesa cattolica, la Sinagoga e la Moschea. Ma un cattolico può bene enunciare "credo nella Chiesa cattolica", mentre per un ebreo o per un musulmano dire "credo nella Sinagoga ebraica" o "nella Moschea musulmana" non ha assolutamente senso. Questo perché la Chiesa denota non solo il luogo della preghiera collettiva ma anche la struttura gerarchica dell'organizzazione dei fedeli, che non trova riscontro nelle altre due religioni.
Bisogna riconoscere che questa tendenza ad assimilare a sé le altre religioni contiene una certa dose di prepotenza che non tiene conto del fatto che semmai ciò che unisce i fedeli di tutte le religioni è la ricerca di un trascendente che sia al tempo stesso consolazione e speranza. Ma questa ricerca si esprime con linguaggi e con tradizioni diverse. Non superiori e inferiori, non sviluppate e primitive, non civili e barbare solo diverse.
E' necessario superare questi atteggiamenti, soprattutto in tempi di globalizzazione, in un mondo che si fa più piccolo, nel quale diventiamo tutti dei vicini di casa.
L'Imâm Yahya Pallavicini ci offre, a questo proposito, un percorso interessante.
Infatti l'Islâm in Italia, in Francia, in Germania, non è rappresentato soltanto da immigrati ma sempre di più da italiani, francesi, tedeschi che all'Islâm si sono convertiti. I fatti dimostrano che si può essere nati e cresciuti in questi Paesi "occidentali" e tuttavia appartenere a una Comunità di fede che, fino a due generazioni fa, era considerata estranea.
Per gli ebrei il problema si pone in termini alquanto diversi; gli ebrei sono vissuti da secoli in queste terre dove sono stati però segregati grazie a leggi severe e anche grazie alla diffusione di pregiudizi che li facevano odiare dal resto della popolazione. Il trauma dell'adattamento, come minoranza invisa, al mondo che li circondava, li ha segnati profondamente. E non avevano neppure un loro Stato cui fare riferimento: al massimo, un Sultano turco che li accoglieva quando i re cattolici di Spagna li cacciavano via.
Il libro dell' Imâm Yahya Pallavicini è destinato ai cristiani d'Italia e d'Europa, per far loro capire che cosa sia veramente l'Islâm e per contribuire alla demolizione di facili stereotipi e di lacune di conoscenza. In più, esso attribuisce un compito inedito e affascinante ai cosiddetti "musulmani europei": quello di operare come un ponte ideale per collegare fra di loro religioni e culture diverse ma topograficamente vicine. Operare per farle conoscere per quello che sono, non per come vengono rappresentate, spesso in forme sbagliate, addirittura caricaturali.
Non esito ad affermare che si tratta di un progetto civile, dignitoso e serio.
E' soprattutto un progetto che dovrebbe entusiasmare e forse addirittura diventare uno strumento di lavoro per tutti coloro che si sentono impegnati nel grande obiettivo della costruzione di una nuova Europa, che sappia essere una terra di pace, di convivenza fraterna e di comprensione fra popoli e religioni, al di là del mare, al di là dei confini.

Amos Luzzatto
Presidente dell'Unione delle Comunità ebraiche italiane